“Non so più cosa sono e cosa sarò…

AdamundGott

Un anziano religioso, spiritualmente abbattuto perché non gli era più possibile esercitare i suoi compiti con entrambe le braccia rotte, non poteva più dir messa e la sua vocazione di consigliere di anime era da lui messa in discussione “Non so più cosa sono e cosa sarò, non ho più la forza di donare pace a chi mi chiede aiuto”. Era depresso, accettava con remissivo rispetto le terapie ma rifiutava di vedere un futuro. Nel suo progetto riabilitativo, oltre alle terapie di routine, venne inserita la Terapia Occupazionale. Così una mattina alcuni studenti tirocinanti, si recarono nella sua camera e gli spiegarono brevemente quale sarebbe stato il loro trattamento quotidiano e gli obiettivi da raggiungere, lavarsi, vestirsi, leggere un libro, per tornare a poter sollevare il calice, ecc. Lui si mostrò educatamente disposto alla collaborazione sottolineando che era per correttezza nei confronti degli studenti, ma il terzo giorno, ringraziandoli per l’impegno, si congedò dalla terapia “Scusatemi ma ho altro per la testa, comprendo le vostre intenzioni e le apprezzo ma preferisco non continuare”. Dopo un paio di giorni la responsabile di terapia occupazionale, mi chiese se mi sentivo di riprovare un approccio con il religioso “Credo che con te lavorerà”.
Acconsentii e la mattina stessa andai nella camera del paziente. Iniziammo a misurare quanto si potevano allungare gli elastici della nostra collaborazione.
Mi presentai e iniziammo un lungo dialogo su quali fossero le sue necessità, le sue aspettative, i suoi dubbi. Giunti alla fine del colloquio, dopo avermi detto di apprezzare il mio tentativo ma che non credeva io potessi fare molto per lui, acconsentì comunque a rivedermi il giorno successivo “Mi fa piacere parlare con lei”.
Con l’andare dei giorni, non tentai mai di sottoporgli proposte di riabilitazione, ma proposte di rinascita della sua motivazione, così ogni attività era accompagnata da spiegazioni al di là delle funzioni corporee, aprendolo alla prospettiva del risvolto spirituale che un evento come quello che lo aveva colpito, potesse offrirgli. Fu un po’ come divenire una maschera al cinema, che non ti cambia la vista del film, ma la posizione migliore da cui vederlo.
Nei nostri colloqui, gli spiegavo l’importanza di saper sentire il corpo, invece di tacitarne le sue richieste, che respirare profondamente mettendo attenzione alle varie parti del corpo gli avrebbe permesso di gestire il dolore e migliorare la qualità del suo sonno. Lui mi rimproverava simpaticamente dicendomi che non sono queste le discipline che fanno parte di una formazione pastorale “Il corpo va trasceso non ascoltato” la mia risposta “Sì ma come vede, mentre lei lo porta a spasso per il corridoio lui la fa soffrire talmente tanto per il dolore alle braccia, che le impedisce persino di camminare eretto, allora prima che lei trascenda il suo corpo, è d’accordo se proviamo insieme a trascendere il dolore?” dopo un sorriso e un sospiro “Faccia come crede, la seguirò fin dove posso”. Continuammo conquistando piccoli traguardi quotidiani.
Con l’andare dei giorni si instaurò un ottimo rapport, mi mise costantemente alla prova con i suoi dubbi e le sue domande, mostrando crescente interesse sugli aspetti del suo sistema mente-corpo, stupito dalle potenzialità della sua mente di dimezzare il dolore solo ponendo attenzione alla postura, al respiro, ai pensieri limitanti che accompagnavano i suoi passi nel corridoio della corsia dove passeggiavamo e lui migliorava senza sforzo.
Discutevamo, dibattendo sulla verità e l’importanza della sfera spirituale nella ripresa dopo un trauma, ma purtroppo nonostante il suo interesse, rimaneva ancora scettico e la sua motivazione riscendeva più velocemente di quanto era salita, e quando uscivo dalla stanza, si arrendeva alla depressione.
Come antidoto alla sua depressione, mantenni sempre alta la fiducia nel percorso, continuando a confidare ciecamente nel suo inconscio capace di attivare il potere della resilienza.
Una mattina entrai in stanza, lo trovai seduto a bordo letto con lo sguardo fisso sul muro. Iniziò a descrivere con voce flebile che non credeva di poter proseguire, non ne aveva la forza, né fisica né spirituale, era troppo stanco e senza speranza. Fu come l’assist per il goal che fa vincere il mondiale, la mia bocca si aprì all’istante “Lei mi delude, mi dispiace constatare che lei, proprio lei che dovrebbe dispensare fede e speranza nelle anime, oggi è qui arreso sotto la sua croce a lamentarsi, mi scusi ma credo che lei non abbia colto il senso del miracolo e forse la su Qualcuno le sta chiedendo di riflettere, la prego colga il giusto senso di quello che le sto per dire, i miracoli non li fa Dio, il miracolo questa volta viene chiesto a lei, non credo di doverle ricordare che senza la fede Lui non può nulla”.
Il suo corpo era impietrito e il suo sguardo fisso nello stesso punto, tirai un sospiro così profondo che sembrava non avesse fine, avevo forse esagerato? Chi ero io per parlare così ad un cardinale?! Ero pronta ad essere cacciata dalla stanza, il suo silenzio sembrò interminabile, nell’attesa di un suo gesto, ripensavo alle cose dette ma più riflettevo e più sentivo che andava bene così, si, sentivo che mi ero fatta condurre dal suo inconscio a quelle parole. Finalmente girò lentamente lo sguardo verso di me e ancora più lentamente incontrò i miei occhi. Guardandomi fisso, fece un respiro che gli sollevò le spalle e nell’espirare mi disse “Grazie, per oggi basta così, ho bisogno di riposare”. Ringraziai a mia volta ed uscii in silenzio.
La mattina seguente esitai prima di entrare nella sua camera, presi un respiro e mi feci coraggio. Era sdraiato sul letto e guardava il soffitto. “Buongiorno C.” lui ricambiò il buongiorno con una domanda “Sa cosa sono i salmi?” risposi in base alla mia conoscenza e lui ancora “Si avvicini, sa cosa ho letto nel salmo di questa mattina? All’empio saranno spezzate le braccia. Ecco, credo che sia questa la mia prova, devo riscattare la mia fede, pentirmi, purificarmi. Comprendo oggi il senso del suo invito, ora ho la forza di continuare, c’è molta gente che mi aspetta e ha bisogno di aiuto”.
Non feci domande, socchiusi gli occhi, congiunsi le mani in segno di preghiera e chinai il capo in segno di ringraziamento.
Il paziente aveva trovato un modo per ricominciare a sperare, questo rappresentava per me la parte più grande della sua guarigione, ora tutte le cure somministrate avrebbero avuto un altro esito. Rimanemmo piacevolmente a parlare per un’ora condividendo l’importanza dell’ascolto interiore, così come è abituale per i religiosi, quanto sarebbe utile alla guarigione di ogni malato, quanto bisognerebbe dedicarsi all’aspetto spirituale di ogni paziente così come ci si dedica al suo corpo. Prima di congedarmi mi confessò che la mia “originale e poco ortodossa” terapia, gli aveva restituito speranza, forza interiore, il suo sonno era migliorato grazie alle tecniche di respiro e prima che io entrassi in camera aveva portato supporto per telefono ad un parrocchiano in difficoltà.
Imparai tantissimo da questo paziente, rinforzai la fiducia nel mio inconscio ancor prima che in quello della persona, ricevetti ulteriore conferma che si perde in partenza senza conoscere le giuste tecniche da adattare per ogni paziente. Conoscere il linguaggio del corpo e la sua comunicazione non verbale, conoscere il potere della “parola ben formata”, saper leggere e percepire oltre la forma apparente, sono preziose risorse per accompagnare ogni paziente alla “sua guarigione”.


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