Scrivo questo articolo, come fossimo a conversare tra noi, quel lieto passare da una ruflessione ad un’altra…

Preparavo un esame alla magistrale e questo concetto colse la mia attenzione “L’intelligenza del gruppo, nasce da un pensiero collettivo, che prende vita e si relaziona secondo leggi comunicative, intrinseche all’Essere sociale. Ecco che la struttura emotiva e sociale dei membri appartenenti ad un gruppo sociale, è condizionata dall’intelligenza di massa, più che dai singoli quozienti intellettivi.”

Riflettendo sul trema…l’era digitale, quella delle relazioni digitali intendo, è un’era di intelligenza espansa o un mancanza di reale condivisione intelligente?

Una domanda apparentemente lapalissiana forse, ma non scontata, perché sappiamo tutti che ciò che si mostra online, è ben diverso da quello che si è realmente.

È facile mostrarsi con anni in meno, sempre sorridenti, con meno rughe, meno pancia, dando più risposte e meno soluzioni; nel mondo digitale è molto facile esprimersi a discapito del sano intelligere, propriamente intendere, concepire, comprendere, sentire, muovere, ragionare.

I social sono uno strumento potente, a volte devastante, ma il dubbio è se siano unificanti…

Ad una analisi antropologica, in grande percentuale è evidente che non sono unificanti anzi, al contrario hanno oggettivamente un potere disperdente, privo di confini, un mondo virtuale spesso poco virtuoso; un’isola di solitudini unificate da schermi e immagini replicate, anziché contenuti edificati su logiche evolutive.

Sempre più frequente è l’abitudine a rilanciare post in modo virale invece di creare propri contenuti, il che è sintomatico di un deficit della performance creativa. Altra manifestazione di tale sintomo, è la sposmodica velocità di scorrimento dei post e l’estrema facilità a mettere un like senza la minima attenzione al contenuto che si sta approvando.

Sono stati fatti esperimenti su questo bug della divulgazione, è stato creato un bel titolo corredato da una immagine accattiante ma, con un testo assolutamente incongruente o mistificato; l’esperimento voleva dimostrare che una grossa fetta di follower, non legge il contenuto se titolo e immagine riescono a saturare la loro attenzione.

Perché i post più banali, hanno tanti like e quelli più colti, ne hanno pochi o niente? Dobbiamo dedurre che il target degli utenti ha una intelligenza di basso livello? No non è questo, si tratta in realtà anche qui di un defit dell’attenzione, non si riesce a leggere post più lunghi di sei/sette righe o guardare video più lunghi di 3 secondi.

Da questi defict, deriva una certa schizofrenia digitale, che impedisce di apprezzare il valore culturale che potrebbe offrire un’attenzione mirata, accurata, selettiva e corredata da speculazione personale sul tema letto.

Riflettendo sul tema, mi sorge un nostalgico rimpianto di quel tempo passato, in cui gli adulti riuniti da un calice di vino o una tazza di Tè, davano la possibilità ai bambini di ascoltare le costruttive condivisioni delle loro esperienze di vita; mentre le mani dei bimbi erano distratte da giochi manuali, quelle conversazioni formavano la coscienza delle giovani generazioni.

Oggi la maggioranza degli adulti, discute delle notizie date dalle agenzie di stampa per parlare politichese con gli amici, dell’attualità che viene venduta dai media…vien da chiedersi…“Esiste ancora il mondo delle idee che si confrontano vis a vis, della cultura che unifica e costruisce ponti culturali, solidi ed edificanti?” SI, per fortuna si ma bisogna saperla cercare e coltivare.

Come terapista, vedo diminuire costantemente la qualità di vita in ogni fascia di età. Questo anche a causa di una cattiva informazione fai da te, causata dalla facilità con cui anche i nonni oggi possono accedere alla rete. Questa emorragia culturale ha quasi amputato la trasmissione delle tradizioni.

Su questa ultima riflessione, ne nasce un’altra…l’era tecnologica protegge la tradizione tramandata bocca orecchio dalle generazioni più grandi?

Se sarà un progresso o una disperata perdita lo sapremo a breve, ma intanto è evidente che siamo stati traghettati troppo velocemente dall’era dei nonni che insegnavano a vivere, a stare al mondo, quei nonni a cui bastava uno sguardo, nonni che ti iniziavano a divenire uomo o donna, ai nonni odierni che navigano nel mare della rete.

La loro ingenuità li rende fragili, non si accorgono che nei social sono disseminate le false verità, ingannevoli, fuorvianti, diseducanti messaggi, e che la verità è nella loro esperienza di vita, che ogni vita raccontata è una verità da ascoltare, per comprendere e imparare a non commettere gli stessi errori e inventare nuove soluzioni, per conoscere le proprie radici e capire come mettere le proprie.

Si rimproverano i ragazzi per il troppo tempo dedicato al cellulare, ma passa quasi inosservato il pericolo dei nonni social, adulti in età ancora attiva, ubriacati dalle immagini veloci e attraenti della rete, giochi mangiatempo e deleteri per la memoria concettuale.

In tutto questo, i piccoli non imparano più la pazienza, quella insegnata loro dall’attesa silenziosa nell’ascoltare una favola o un racconto di vita.

Sarebbe una bella missione quella di ricreare dei solotti culturali, meravigliosa risorsa per reimparare ad ascoltare, immaginare, pensare e costruire la propria vita su basi più funzionali.